Sabato mattina sono andato in Strada Maggiore 13 – a due passi da casa mia – alla Confraternita della Misericordia di Bologna, per il 30° anniversario della Fondazione dell’Ambulatorio Irnerio Biavati. E’ stato ricordato il professor Anton Maria Mancini e le tante donne immigrate, anche irregolari, che spesso chiedono le cure dell’Ambulatorio perché non sanno dove andare. E’ stato un bell’incontro. Come sempre animato da Marco Cevenini, presidente della Confraternita, e da Paolo Mengoli, direttore della Caritas, ma anche dall’intervento, come sempre non di circostanza, del Vescovo Ausliliare Mons. Ernesto Vecchi. Ho conosciuto il Biavati e suoi volontari fin dagli anni 80, quando ho potuto apprezzare la competenza e l’umanità di Anton Maria Mancini che fu tra i fondatori dell’ambulatorio ed è scomparso un anno fa. A quel tempo era anche consigliere comunale indipendente della DC e, perciò, sedeva nello stesso Consiglio in un banco lontano dal mio. Da lui ho sempre avuto incoraggiamenti, anche sul piano personale, nel fare cose nuove per la gente e nel contrastare una visione chiusa, autoreferenziale delle istituzioni sanitarie e della scienza medica. Erano, anche quelli, tempi difficili, in cui non sempre c’era comprensione e sostegno per chi si allontanava dalle ideologie della “grande politica”, per occuparsi di altro: di chi non aveva un posto per curarsi; o di chi non aveva conoscenze o soldi per ottenere rapidamente una visita, un consulto medico. E non sempre si capiva, allora come in parte oggi, che non tutto può essere risolto con l’intervento dello stato o delle istituzioni pubbliche di sanità e di assistenza. Per quanto il servizio pubblico sia efficiente – e io penso che quello bolognese e dell’Emilia-Romagna lo sia in grandissima parte – non si potrà mai far meno di quell’opera volontaria, di umana solidarietà, che arriva là dove le istituzioni non potranno mai arrivare. Ma occorre anche distinguere, a mio parere, tra volontariato, solidarietà umana e altre, pur importanti, forme di impresa sociale che, numerose, operano in campo economico, associativo e assistenziale. Bologna è ricca di entrambe. E questo è un lato positivo della nostra città. Ma conoscendo esperienze come l’Ambulatorio Biavati possiamo comprendere la differenza tra il volontariato della solidarietà, dell’impegno gratuito e disinteressato, e tutto ciò che è altra cosa. Queste esperienze autentiche di solidarietà umana e religiosa hanno radici profonde nella storia di Bologna e di tante città italiane. Ma a volte si ha l’impressione – lo dico anche per esperienza personale – che una storia millenaria venga dimenticata o oscurata da una cultura del quotidiano, da un vivere i fatti della collettività cittadina nella parzialità del breve periodo. Claude Lévi-Strauss, il famoso antropologo francese che proprio venerdì ha compiuto 100 anni, ha ricordato – in un’intervista rilasciata al giornale la Repubblica di pochi giorni fa – che l’invenzione più importante di questi ultimi trenta mila anni della storia dell’uomo è stata certamente la ciotola per il cibo, e che forse solo quest’ultima verrà ricordata tra altri trentamila anni. Beh, io penso che forse parliamo della stessa ciotola di cibo, data ad una persona che aveva fame, su cui è stata costruita una città come Bologna, attraverso una storia di carità cristiana che ha duemila anni e che nessuno potrà cancellare o dimenticare con facilità. E questo vale anche per quelli, come noi di CUP 2000, che operiamo in un campo prossimo al futuro: quello di Internet e delle sue reti per i cittadini. L’Ambulatorio Biavati – con cui collaboriamo e continueremo a collaborare volontariamente – è anche per noi un esempio di impegno umano e solidale che dà senso a questo futuro. Dell’incontro di sabato mattina voglio ricordare – tra i tanti che hanno detto cose bellissime e hanno portato dati interessantissimi sulle malattie della povertà – gli interventi di Vasil Potochnyak, sacerdote ucraino della comunità di Bologna, di suor Serafina Rehmat, pakistana, di Omri Larbi, tunisino per lungo tempo gravemente malato e di Fatima Mochik, responsabile delle donne mussulmane di Bologna.
30 anni dell’Ambulatorio Biavati di Bologna
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