“Innovare per non tagliare” è stato il tema, secco, del confronto di ieri sera, a Bologna, sul futuro della Sanità (tra i presenti Enrico Letta, Giuliano Barigazzi, Giuseppe Paruolo, Donata Lenzi, Francesco Spada). Ho posto un problema: si può difendere il welfare sanitario italiano, che poi non è tra i peggiori in Europa (anzi…), senza introdurre innovazioni robuste o addirittura sconvolgenti (premesso che ogni operazione di semplici tagli o, tanto più, di smantellamento – che per altro in questi termini nessuno vuole – va senza dubbio contrastata)? Ma – ecco una prima difficoltà – parlare di innovazione non è facile. Nicklas Luhmann la considera una cosa impossibile nell’ambito della teoria dei sistemi autopoietici, una parola vuota, forse “una follia”. Nell’era di Internet l’innovazione è comunicazione, è personalizzazione del prodotto dell’organizzazione (prodotto organizzativo: nella sanità, il servizio assistenziale alla persona). Nella cultura wiki – quella della fase più attuale della società in Rete – innovare significa “produrre con il cliente” (prosumer), con il cittadino, progettare e produrre con l’ambiente (delle persone). La gente richiede verso i servizi un livello sempre più avanzato di comunicazione (non dimentichiamoci che tutti hanno un telefonino-computer in tasca, cosa impensabile nell’umanità di soli 30 anni fa). La comunicazione dà valore al prodotto-servizio e un servizio completamente privo di comunicazione ha valore zero. Perché c’era una rivolta popolare ogni volta che si chiudeva un ospedaletto di provincia di scarso livello assistenziale? Perché, con quella struttura, pur modesta, la gente comunicava, mentre fa fatica a comunicare con un grande ospedale. Ecco perché con Internet l’innovazione è possibile. La Rete produce comunicazione a grande intensità (è l’unica cosa che produce in continuazione). Ma il cittadino cosa intende per comunicazione-innovazione? Lo sappiamo perfettamente tutti: poter parlare con un medico nel più breve tempo possibile, di giorno o di notte, quando sta male, ha un problema di salute, che può essere anche e soltanto un banale ma doloroso mal di gola (ecco perche i grandi magazzini americani Wall Mart stanno mettendo l’angolo con il medico che visita a 30 dollari entro 15 minuti! Non scandalizziamoci!). Poi chiede un’altra cosa: essere preso in carico lungo il percorso diagnosi-cura. Non essere lasciato con un foglietto in mano e la richiesta scritta di un ricovero in ospedale. Due cose banali e apparentemente contraddittorie: un’assistenza “usa e getta“ alla bisogna; una presa in carico permanente (la famosa “continuità assistenziale”). Eppure sono le due facce della stessa medaglia della nuova Sanità, dell’innovazione attesa, che, almeno a Bologna e in Emilia-Romagna, si va costruendo: centri di cure primarie aperti 24×7 (almeno si spera) per il consulto e l’assistenza sanitaria rapida; ospedali sempre più moderni e tecnologici (non necessariamente grandi); continuità assistenziale, presa in carico attraverso reti e-Care, Cup di seconda – terza generazione; i dati di salute che ti seguono come la tua ombra, ovunque, ricostruendo la tua storia clinica giorno per giorno (la rete SOLE).
L’innovazione è possibile
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