Milano. Politecnico. Presentazione del Rapporto ICT Sanità 2015. Sala come sempre stracolma.
Nel 2014 le Regioni Italiane hanno speso 325 milioni di euro in sanità elettronica con un + 10%. È poco o molto? È pochissimo. Saranno gli stessi estensori del Rapporto a chiarire che per fare il balzo e-Health (la sanità di Internet, ad alta comunicazione, per intenderci) occorre un investimento in Italia di 4-5 miliardi. Anche le Asl italiane si muovono, ma molto lentamente e in maniera frammentaria (qualche cartella clinica elettronica, un po’ di telemedicina, un po’ di informatizzazione del percorso farmaceutico e amministrativo, qualche servizio on line, ecc.). Un DG di una Asl di Roma arriva a dire: lasciateci andare per la nostra strada, ogni Azienda per suo conto (!). Il rapporto cerca invece di tracciare un viaggio (Journey) delle buone pratiche e-Health suddiviso in cinque step.
Sullo sfondo il Fascicolo Sanitario Elettronico e la sua architettura voluta da una legge avanzata dello stato, quella dell’Agenda Digitale. Sul FSE il Rapporto è prudente, si vede che mancano dati e sensori diffusi nelle regioni. Un dato comunque il Politecnico l’ha dato: l’83% degli italiani non sa cos’è, grazie alla gestione burocratica dei progetti. Se ne riparlerà, verosimilmente, nel Rapporto 2016.
L’informatica sanitaria che conosciamo e il FSE sono però due mondi ancora lontani. Perché? Per un fatto culturale: non si riesce a capire che le informazioni di salute che generano il prodotto della sanità del futuro prossimo dovranno viaggiare su reti di nuova generazione Internet alla velocità della luce senza barriere (burocratiche) spaziali e temporali. Queste barrire sono robuste, dure a morire. Tutto qui. Lo capiscono però i cittadini: il 79% degli italiani pensa, infatti, che la sanità dovrebbe essere sul web, come rileva il Politecnico di Milano. Da qui forse si dovrebbe partire.
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