Il personaggio di Paul Auster in Sunset Park (Einaudi 2010), Bing Nathan, rifiuta il mondo digitale in nome di una tangibilità delle cose e gestisce L’Ospedale delle Cose Rotte: un negozio in cui si riparano vecchie macchine da scrivere, penne stilografiche e cose dell’era pre-digitale. L’uomo, lui afferma, ha sempre vissuto in un mondo tangibile.
Cos’è la tangibilità? È la fisicità del rapporto con le cose (artefatti) e con-tra le persone. Si usano e si toccano le cose per allungare gli ‘artigli’, modesti, del corpo umano; in questa operazione, una penna stilografica e un’automobile non fanno differenza. Questi artigli – come sosteneva il filosofo antropologo Arnold Gehlen – sono un’estensione e un completamento del corpo umano. La casa che ci riscalda e ci protegge è la pelliccia dell’orso perduta; l’areo sostituisce le ali che noi, a differenza degli uccelli, non abbiamo. Ma a cosa servono gli artigli? La belva li usa per tre ragioni: catturare le prede, cioè per procurerarsi cibo (e per non diventare cibo per altri); per vincere i rivali in amore, cioè per catturare le femmine (e le femmine per difendere i cuccioli dai maschi e dai predatori); per sopravvivere nell’ambiente fisico, la foresta, i ghiacci, il mare, la città dell’uomo. Noi usiamo le cose-artigli per le stesse ragioni. Ma questa operazione non puó che avvenire in un contesto sociale, di gruppo, di tribù, di organizzazione tra individui, quindi di comunicazione (reticolare, di potere) che presuppone dei confini ( come quelli tracciati da Romolo con il suo aratro). Il digitale, e le sue macchine (tecnologia) è anch’esso un artefatto dell’uomo, ma serve per estendere non la fisicità del corpo, ma quella della mente, della capacità del cervello di accumulare e ricordare informazioni (bit), per comunicarle ad altri (per le stesse ragioni: cibo, sesso, sopravvivenza ambientale). Inoltre l’uomo, per dotazione cerebrale, ha un alta capacità di sublimare, cioè di produrre (autoprodurre) emozioni sostitutive e integrative agli istinti della fisicità animale e di comunicarle. L’artefatto digitale è un artiglio della comunicazione, un’estensione delle facoltà della mente e non del corpo (i bit non hanno materialità) che, per potenza tecnologica, irrompe oltre i confini del gruppo.
Bing Nathan, rifiutando la tecnologia digitale ( quella moderna, poichè nell’Ospedale delle Cose Rotte accetta le vecchie radio a valvole e i vecchi telefoni a disco), rifiuta l’era dell’ alta comunicazione; preferisce un mondo a bassa comunicazione dei bisogni e delle sublimazione; più propriamente un mondo circoscritto in vecchi, e illusori, confini antropologici. Un mondo che assomiglia ad un nuovo ghetto. Quello che Paul Auster ha scelto come ambientazione di questo suo ultimo libro: un gruppo di squatters che occupa case requisite alle famiglie newyorchesi travolte dalla crisi.
L’Ospedale delle Cose Rotte Un commento all’ultimo libro di Paul Auster
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