Romano Prodi ha scritto l’articolo in queste settimane di caldo fine giugno per il Messaggero di Roma. Parte da una constatazione. “Cominciamo dai giganti americani, dominatori insieme alla Cina del mercato globale della connettività, cioè i così detti GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft). Nei primi mesi dell’anno in corso, in piena crisi economica, essi hanno aumentato il loro valore di borsa (la loro capitalizzazione) di oltre 1000 miliardi di dollari. Una cifra impressionante, venti volte superiore alla manovra finanziaria italiana e ben oltre le dimensioni del pur imponente impegno europeo. La sola Amazon ha visto aumentare il suo valore di 401 miliardi per effetto dell’impressionante aumento delle vendite sia negli Stati Uniti sia nei paesi europei.”
E arriva a una seconda constatazione che è anche un grido di allarme politico: “È purtroppo opportuno sottolineare che trai i primi venti padroni di questo mercato vi è una sola impresa europea, che si trova diciannovesima in classifica. Ci troviamo quindi di fronte al rapido rafforzamento di una concentrazione che non ha precedenti nella storia dell’umanità, anche perché si tratta non solo di un potere esercitato sui beni materiali, ma del possesso delle informazioni vitali ed essenziali anche in ambito militare, tecnologico e scientifico. Un controllo di tutto il consorzio umano, dalle caratteristiche personali alla sanità. Non solo: queste imprese, molto più che in passato, detengono un raffinato potere di lobby su tutti i governi e riescono, con una maestria senza confronti, a pagare imposte per una frazione trascurabiledei loro profitti.”
Prodi inoltre, giustamente, sottolinea un fatto nuovo: i grandi del web si impossessano non solo dei nostri soldi ma anche dei nostri dati e delle informazioni di tutta la nostra vita.
Detto questo, quello che lascia perplessi non è la giusta denuncia di Prodi sul fatto che i giganti pagano ben poche tasse e che condizionano gli stati (quest’ultima è per la verità un’arte piuttosto antica). Fin qui è un dato di fatto. Lascia perplessa l’alternativa che Prodi non esplicita. Se questa alternativa non c’è, l’unica possibile e quella di ridare potere alla burocrazia degli stati nazionali e dell’Europa; anche potere di condizionare il web. La burocrazia delle tasse e dell’inefficienza elettronica delle ‘Agende Digitali’. Quella che impiega venti anni a realizzare il FSE o quella dell’INPS e dell’Agenzia delle Entrate. Allora, dice la gente, meglio Apple e Google. Volete un esempio a portata di tutti: provate a telefonate al numero verde dell’Apple se avete un problema al vostro IPhone e provate a chiamare il numero verde dell’Agenzia delle Entrate e valutate l’abissale differenza (ammesso, ma non concesso, che il secondo vi risponda, mentre il primo lo trovate sempre a vostra disposizione in ogni ora del giorno è della notte). C’è una terza strada? Ci può essere. È quella che i ministeri, le regioni, la politica italiana (e, in parte, europea) non sono in grado o non vogliono percorrer: la rivoluzione digitale ‘dal lato dei cittadini’ (frase di Achille Ardigò). Come dimostra la tormentata vicenda del Fascicolo Sanitario Elettronico, e ancor prima dei Cup; o la telemedicina al tempo del COVID. Allora chi potrebbe esercitare un ‘terzo potere’? I grandi centri di ricerca scientifica nazionali, come Cineca e CNR, Politecnico di Milano e Torino, Università di Pisa e di Bologna, network delle migliori in house regionali e altri, dotandoli di un potete reale di iniziativa sottratto alla burocrazia pubblica e alla politica nazionale e regionale. Ma non vi ricordate che Internet è nato così, nelle Università americane e poi europee? Guardato con sospetto e ostilità dagli Stati e dalla politica?
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